Una bestemmia in mezzo ai denti e in acqua con tutti i vestiti. Così è iniziato il “miracolo di Punta Penna”. È iniziato perché loro,gli uomini di mare, non ci stavano ad aspettare oltre, ad aspettare che arrivasse la task force da chissà dove, non potevano più resistere a vedere le pinne di quei giganti del mare dimenarsi a secca, sempre più debolmente. E allora al diavolo la procedura, e tutti in acqua. L’allarme era stato lanciato alle prime luci dell’alba di quel 12 settembre 2014 da un surfista sveglio di buon’ora per “cavalcare il mare” e da chi era passato ad ammirare il mare prima di andare al lavoro; ma sulla spiaggia di Punta Penna non c’era il solito maestoso spettacolo dell’alba che bacia l’orizzonte, tra cielo e mare; quella mattina, sulla spiaggia di Punta Penna, il sipario si è alzato su quella che poteva diventare una tragedia del mare, con un branco di capodogli, una mamma e sei piccoli, che poi piccoli non erano, o almeno lo erano per come possono essere piccoli i capodogli, che si dibattevano a pochi metri dalla riva. In realtà, come hanno poi spiegato le successive indagini, l’unico adulto del branco, una femmina gravida, era arrivata sulla costa già morta, ma questo il gruppo di surfisti non poteva saperlo e, senza perdere un attimo di tempo, ha allertato i soccorsi.
I soccorsi. Già. Ma che puoi fare davanti a sette giganti del mare che non riescono a riprendere il largo? Chi li sposta? E come? Intanto sulla spiaggia cominciavano ad arrivare le prime persone. Naturalmente la capitaneria, insieme ai carabinieri e qualche passante accompagnato dal cane per la passeggiata mattutina. Ma sette capodogli spiaggiati naturalmente fanno presto notizia, così arrivano anche i primi giornalisti che lanciano i primi flash dal che catapultano sulla spiaggia una quantità incredibile di persone, mentre si muove anche il Centro Studi Cetacei, per un avvenimento di portata nazionale: si tratta, infatti, del più grande spiaggiamento di capodogli registrato nel Mediterraneo.
Ma tra i primi intervenuti sul posto ci sono anche loro, i pescatori, paradossalmente i più irrequieti; non ce la fanno più ad aspettare; proprio loro, abituati alla pesca e a “cacciare” in mare, non ce la fanno più a stare a guardare le creature del mare che si dibattono a pochi metri dalla riva. E allora via, una bestemmia in mezzo ai denti e in acqua con tutti i vestiti, incuranti delle raccomandazioni ad aspettare. Una volta in acqua, però, la realtà li schiaffeggia sotto forma di pinne di capodogli: sono troppo pesanti; pur forti braccia di pescatori non bastano a smuovere i giganti del mare, ma lo sconforto non vince: rimangono in acqua, in attesa del coordinamento dei soccorsi, per tener bagnati i capodogli, per allungargli la vita di quel tanto che basti a smuovere pescherecci, cime e braccia che li avrebbero riportati al largo. Ma non è facile muovere una macchina organizzativa del genere, e il tempo passa. E insieme ai pescatori e alle forze dell’ordine, associazioni e semplici cittadini, richiamati sulla spiaggia dal tam tam che corre sul web, si danno da fare per alleviare le sofferenze dei capodogli. Si prova a spostarli con cime tirate a mano, ma non c’è niente da fare, sono troppo pesanti. Perfino le prime piccole imbarcazioni falliscono: non li sposti, così, i giganti del mare.
Intanto la spiaggia di Punta Penna è ormai invasa da una grande folla formata da uomini e donne della capitaneria, i sub della Marina, pescatori, forze dell’ordine, volontari di associazioni ambientaliste, protezione civile e cittadini. E ognuno si affanna a fare il possibile, mentre arrivano le imbarcazioni più grandi e potenti. Ormai è quasi mezzogiorno e i sette capodogli sono ancora lì. Ma nessuno si arrende, nessuno lascia la spiaggia, anzi… la gente continua ad arrivare. Ma non è gente da selfie con il capodoglio spiaggiato, non sono curiosi che rallentano i soccorsi. Sono volontari che vogliono aiutare, e aiutano.
E il miracolo arriva. Il primo capodoglio riesce a staccarsi dalla riva e a raggiungere un punto in cui l’acqua è abbastanza alta. Un boato fatto di urla di gioia e applausi è il segnale che sì, si può fare. Certo, alcuni non danno più segni di vita, ma per gli altri il miracolo è possibile; il primo capodoglio che nuota nell’acqua alta ne è la prova. E la stanchezza svanisce. Ricominciano gli sforzi, centimetro dopo centimetro, come un’estenuante partita di rugby dove la meta è rappresentata da un capodoglio che riprende il mare, come il primo. E arriva il secondo. Il terzo. Il quarto. A sera “la partita” finisce 4 a 3. Un risultato impensabile. Un miracolo reso possibile da centinaia di persone il cui sforzo è stato incanalato nel verso giusto, con competenza e professionalità. Cuore e mente. Anima e scienza. E lo spiaggiamento dei sette capodogli diventa un caso nazionale, non solo per la portata dell’evento, mai registrato in questi mari, ma soprattutto per quel risultato insperato: quattro capodogli, destinati a rimanere con gli altri sulla spiaggia di Punta Penna, hanno ripreso il mare. Un’impresa rimasta nelle immagini che hanno fatto il giro del mondo, rimasta nei libri e nella storia di Vasto. Un’impresa rimasta soprattutto negli occhi e nel cuore della comunità vastese, che ha avuto occasione di riscoprire i valori dell’ambiente, della solidarietà, dell’agire comune e disinteressato per un nobile scopo.
(Natalfrancesco Litterio, redazione di Zona Locale)
“Il branco ha seguito il suo leader, una femmina gravida di 40anni che aveva un grosso calcolo renale, quindi poco cibo e disidratazione. Situazione di stress che avrebbe prodotto disfunzioni cerebrali tali da far perdere l’orientamento”. Non sarebbero state quindi fonti sonore. Lo afferma Sandro Mazzariol che coordinò l’equipe a Vasto. “Al momento l’embolia gassosa per esposizione a fonti sonore è stata esclusa”, ha detto Mazzariol secondo il quale la presenza di bolle di gas che fu trovata nelle carcasse non sarebbe diretta conseguenza delle ricerche petrolifere con tecnica dell’air-gun, come qualcuno ipotizzò all’epoca dello spiaggiamento. “Ad oggi – spiega l’ esperto – le ricerche geologiche risultano come le meno probabili tra le cause di disorientamento in quanto non sappiamo con certezza quali siano le lesioni conseguenti a queste emissioni sonore. Ci siamo confrontati con altri colleghi e con la letteratura esistente. Quando i capodogli sono esposti a questo tipo di fonti sonore generalmente smettono di mangiare per il 19 per cento del loro tempo e tutto ciò può portare a un processo di dimagrimento”. I capodogli di Vasto sono stati trovati digiuni. Condizione che potrebbe essere conseguenza, secondo Mazzariol, dei bassi fondali dell’Adriatico che non consentono ai grandi cetacei immersioni sufficienti per raggiungere il cibo. Quindi, afferma Mazzariol, professore aggregato del corso di Anatomia patologica veterinaria dell’Università degli Studi di Padova nonché coordinatore dell’Unità di Intervento per la necroscopia dei grandi cetacei per il ministero dell’Ambiente, “la cosa più probabile è che l’insufficienza renale sofferta dalla guida del gruppo abbia portato poi portato allo spiaggiamento di massa”. “La coesione sociale è molto forte in questa specie” dice Mazzariol ricordando come la gran parte degli spiaggiamenti in Adriatico sono avvenuti dal 1500 ad oggi nel tratto compreso tra Pesaro e il Gargano. “Una volta entrati in Adriatico per loro è la fine”. (Notizie ANSA)